Taranto, quando calcio ed industria corrono su binari paralleli

La crisi occupazionale prodotta dall'addio di Mittal a Taranto (attenzione il complesso industriale, da quanto affermato nel famoso comunicato stampa, non chiude, bensì viene "restituito" al Governo italiano), ha prodotto sconcerto, sconforto e grande preoccupazione nella Città ionica.

Senza entrare nel merito su quali delle due fazioni sia soddisfatta o meglio sia vincitrice sull'altra, come i Guelfi e Ghibellini della Firenze di fine '200 e inizi del '300, ciò che la grande industria ha paventato è la riduzione di produzione dell'acciaio  e, conseguente,  messa in Cassa Integrazione di circa 5.000 dipendenti dei quasi 8.300, in forza allo stabilimento di Taranto che conta già oltre 1.600, in  Cassa Integrazione da alcuni mesi del 2019.

La preoccupazione diventa così:

- lavorativa (per i dipendenti, molti dei quali prossimi alla Cassa integrazione ed incertezza del futuro per le loro famiglie);

- ambientale, perchè rimarrebbe in dubbio il completamento delle "prescrizioni" dettate dal Governo e che avrebbero dovuto essere              completate nei prossimi mesi;

- per la tutela della salute dei dipendenti del magnate indiano, dei cittadini del Quartiere Tamburi, della popolazione di Taranto, tutta.

La "ritirata" del colosso franco indiano, oltre al danno occupazionale, ambientale e della salute, potrebbe colpire, in linea indiretta, tutto l'indotto, l'ultimo anello, il più debole, che gravita sul colosso industriale con l'acciaieria più grande d'Europa e, soprattutto,  di garanzia della qualità nella sua produzione.

Da sempre l'industria, a Taranto, non è solo lo stabilimento ma anche l'indotto "a prevalenza locale", con un certo numero di piccole e medie aziende con un nugolo di dipendenti che gravitano attorno alla produzione industriale dell'acciaio ovviamente che porta lavoro a circa 20.000 soggetti (stime di alcuni anni fa), comunque ancorato alla cosiddetta "grande industria".

Nell'indotto, tra le tante, gravita anche l'impresa ENETEC del patron Massimo Giove, attuale presidente del Taranto calcio 1927 srl che, da fonti della stampa locale, avrebbe messo in cassa integrazione ordinaria dei dipendenti che formavano l'organico aziendale.

Cosa c'entrerebbe questa notizia con il fatto di rimarcare che il presidente Giove è, tra l'altro, anche il patron del Taranto calcio 1927 srl?

Secondo chi vi scrive NULLA, non ci sono alcun tipi di preoccupazioni, anche perché la ENETEC ha il suo core business nelle attività di progettazione, costruzione e montaggi industriali. 

Ora la domanda che un profano si farebbe a questo punto, sarebbe: "Possibile che un'impresa che fornisce servizi nella attività di progettazione, costruzioni e montaggi industriali,  abbia UN UNICO CLIENTE e, pertanto, la sua VITA IMPRENDITORIALE sia legata a "filo doppio" con esso?

Pur non essendoci una risposta certa, le motivazioni saranno certamente altre, ma questo, tornando all'aspetto puramente sportivo NULLA HANNO A CHE FARE con le dinamiche societarie, in quanto il Taranto calcio  1927 è una s.r.l., una Società a Responsabilità Limitata, il cui azionista principale è il patron Giove e ci sono altri soci di minoranza che dovrebbero concorrere, in percentuale al valore delle loro quote,  alla vita economica del club. Intorno al Taranto calcio, gravitano tanti altri amici del club rossoblu che sono main sponsor, partner media, amici più o meno interessati ad apparire o pubblicizzarsi, soggetti che  comunque SUPPORTANO, dal punto di vista economico, il club.

Le vicende dell'impresa di Giove, quindi nulla hanno a che vedere con la SANA gestione del club, anzi dal lontano ottobre 2017, il numero ionico ha messo mani al portafoglio per cercare di sanare le esposizioni con l'Agenzia delle Entrate e, soprattutto, con tutti i tesserati e fornitori che hanno avanzato delle pretese, all'indomani del passaggio di consegne dalla vecchia all'attuale gestione.

Quindi, a prescindere da tante inutili dicerie, nessun imprenditore si sognerebbe di mischiare o meglio confondere due gestioni ( la propria personale imprenditoriale e quella prettamente calcistica) a tal punto da creare una confusione e quindi una commistione complicata e pericolosa. Ancora meglio forse è ribadire che il patron rossoblu, mastica calcio diretto, soprattutto come dirigente, dagli inizi del 2000, quindi è scafato ad ogni difficoltà e non si arrende di fronte a nessuna barriera o montagna irta di ostacoli, anzi la sua inscalfibile tempra, lo spinge ad andare avanti e non è un caso che la sua attività l'abbia portata avanti, anche con i suoi familiari, da più di due decenni.

Ed allora, la tifoseria ionica, NON SI LASCI DISTRARRE, dalle notizie che appaiono sui giornali locali e nazionali, ma che potrebbero essere interpretate come messaggi di difficoltà, a giustificare un connubio tra calcio e grande industria che, a Taranto, NON  SI E' MAI CONCRETIZZATO (e visto gli sviluppi, forse è stato meglio così!), ma questo non CAMBIERA' gli obbiettivi societari che sono stati più volte ribaditi, ovvero il grande sogno da realizzarsi il prossimo 3 maggio, assieme alla impagabile, passionale, ferita, amareggiata, ma palpitante tifoseria, sia essa composta da  3.000 o 10.000 sportivi, sarà la sua spinta a coronare quel sogno che è la terza lettera dell'alfabeto e che, per il momento, è meglio, scaramanticamente, non pronunciare. 

Testa all'Agropoli, spinta massima della tifoseria che sicuramente accorrerà per tributare a Panarelli e  ai ragazzi, il grazie per questi primi due squilli al campionato ed il resto, ne siamo più che certi, arriverà in modo lineare e naturale.

Fabrizio Di Leo