L’etimologia della parola “crisi”, mutuata dal vocabolario greco antico, offre interpretazioni diverse, scevre da quell’accezione drammatica e negativa che ha assunto nel corso del tempo. “Krisis” sottende alla soluzione implicita ad un momento di valutazione, di riflessione, di discernimento. Crisi è “opportunità”. E’ presupposto di miglioramento, di perfezionamento, di correzione propedeutica ad un’evoluzione futura favorevole. Quasi “occasione”, la crisi. Eppure, recentemente, sul palcoscenico calcistico ionico, non è mai stato inaugurato uno “stato di crisi”. Nessuna proclamazione, nessun ultimatum, come nelle ansiogene dinamiche che caratterizzano questo sport. Lacerazione improvvisa, probabilmente covata, mimetizzata, conseguenza della sostanza precaria (i risultati ottenuti sul campo), opposta all’essenza (esercizio di fiducia, coraggio e coerenza nei confronti della pianificazione e degli obiettivi). Quale sarebbe stata la dimensione reale del Taranto di Nicola Ragno non è dato saperlo. Quanto confortevoli possano essere i “corsi e ricorsi” della storia, quindi il rifugiarsi nel recente passato di nozioni e gestioni offerto in dote dal ritorno di Luigi Panarelli sulla panchina ionica, è già emblematico. Di certo, è stata confutata la “cultura del progetto”. Una sorta di prerogativa di una città che predilige l’esasperazione dell’elemento autoctono, che pecca nella concretizzazione dei propositi in tutti i settori e fra svariate difficoltà. La genesi del progetto del Taranto, promosso ed illustrato con precisione, sicurezza e consapevolezza nel luglio scorso, è stata drasticamente rinnegata. Eppure, si era investito parecchio, in un movimento di assoluta discontinuità: dal punto di vista economico, strutturale, gerarchico, ma anche morale, emotivo, lungimirante, speranzoso. Tutti i protagonisti ne erano coscienti e determinati: sinergia fra il plenipotenziario del sodalizio rossoblu Massimo Giove, lo stratega esperto e cinto di allori per la categoria Nicola Ragno, il demiurgo per la costruzione di un organico idoneo ed efficace al nuovo corso Franco Sgrona. Evaporato il lavoro di un’estate intera, ritrattato il cronoprogramma, ripudiata l’accettazione del pragmatismo votato all’obiettivo, che troppo spesso mal si coniuga con l’espressione edonistica auspicata nel calcio. Questione di una mentalità, quella del senso dell’attesa e della pazienza, che nel nostro Paese non riesce davvero ad essere acquisita. Che necessita di una maturità nel contestualizzare gli eventi, positivi e negativi. Un senso costante di “caducità” era stato sempre percepito, nelle parole e nelle esibizioni di Nicola Ragno. Come se l’allenatore, invocato e scelto per una missione affascinante della quale lui si professava orgoglioso e per la quale studiava meticolosamente, ad un certo punto fosse stato lasciato solo, “abbandonato” dalla tutela dirigenziale. Non solo alla vigilia della prestazione folle e dicotomica offerta dal Taranto a Bitonto, che di fatto ha decretato l’interruzione di un processo ancora embrionale. E’ tale la sensazione enigmatica delle ultime settimane. Tormentato da un ostracismo esterno nei confronti delle sue idee, da una rivisitazione sarcastica delle sue spiegazioni, da una manipolazione dei suoi concetti, da una deformazione del suo operato. Antitesi dei principi dell’etica, del rispetto, della comunicazione della verità. Inaccettabile la “demonizzazione” della figura del professionista Nicola Ragno innescata dal suo stesso esonero.
La trasparenza e la maestria didattica hanno qualificato in maniera impeccabile l’opera di divulgazione del tecnico originario di Molfetta. Chiunque abbia assistito alle sue conferenze ed abbia ascoltato ogni sua parola, può confermarlo. Esiste una linea di pensiero che non lascia spazio ai fraintendimenti ed alle alterazioni. Alla luce del rinnovato cammino della squadra, potrebbe risultare anche utile. Per esempio, Nicola Ragno ha sempre creduto nel potenziale offensivo del suo Taranto. Così come calcolava le percentuali di rendimento agonistico, fisico ed atletico del collettivo e dei singoli, certificando che occorresse un’accelerazione dello stesso e che il primo bilancio non potesse essere stilato se non dopo una dozzina di partite disputate. Il tempo, non il migliore alleato. Della sua esplicita opinione sulla tipologia del campionato in corso, alla fine, tutti se ne sono impossessati: classifica metamorfica, priva di una tirannia, semmai dominata dalla compressione aritmetica sottilissima fra le pretendenti ai vertici, con la prospettiva logica del recupero. Le insinuazioni circa un integralismo tattico non reggono: la “lettura” equivaleva alla “trasmissione di quante più nozioni possibili”, nella filosofia di Ragno, il quale non ha mai omesso la prova reiterata di almeno due moduli di base, corredati dalle rispettive varianti (3-5-2 e 4-4-2). Non è un reato possedere idee chiare, non è preclusione all’organizzazione di un assetto richiesta dalla qualità del materiale umano a disposizione, dall’urgenza di una gara, dalla precarietà nei reparti. Ogni allenatore segue una sua corrente di pensiero, impossibile ipotizzare il contrario. Non ha senso l’anarchia nel calcio. Il progetto tecnico di Nicola Ragno constava dell’interpretazione ordinata di entrambe le fasi di gioco, di possesso e non possesso palla, da parte dell’intera squadra. Superficiale accusare di “difensivismo” un allenatore che ha sempre aggiornato il suo obiettivo, ovvero “portare quanti più uomini possibili nell’area di rigore avversaria”, con la complicità degli esterni abili a retrocedere e proteggere, senza essere etichettati necessariamente come anomali terzini o fuori luogo. Considerate le eccellenti doti formative e psicologiche dello stratega, il quesito emerge e coinvolge la squadra: perché la memorizzazione dei “messaggi tattici”, l’applicazione sul campo delle lezioni di teoria impresse già sulle lavagne del ritiro di Polla, lo sviluppo dell’identità sono stati così latitanti e contraddittori? Quel “patto” di alienazione e di concentrazione, stipulato fra allenatore e gruppo, non è stato né sacro, né onorato.
Alessandra Carpino

